Lo scopo principale dei movimenti femministi è sempre stato quello di infrangere l’onda oppressiva patriarcale e liberare le donne e le minoranze dalle grevi imposizioni sistemiche che nel tempo hanno bloccato il processo emancipatorio e rallentandone il progresso economico e sociale.
Uno degli argomenti più divisivi è sicuramente quello che riguarda il sex working.
Il sex working, nonostante la sua genesi antica, rimane oggetto di dibattiti anche nell’epoca odierna, e succede molto spesso che venga demonizzato e condannato da coloro che lo reputano (in una visione cattolica e patriarcale) come qualcosa di immorale ed impuro, contro ogni moralità considerata nell’ordine morale “giusta”, e quindi da condannare ed eliminare.
Il sex working è l’accezione che diamo a tutte le professioni che, direttamente o indirettamente, coinvolgono l’uso del sesso e della sessualità, dove questi ultimi vengono poi scambiati per beni e per profitto. Se da una parte osserviamo chi denuncia queste attività considerandole perversioni di un mondo sregolato, dall’altra osserviamo moltitudini di movimenti e/o individui che invece lottano e si attivano per la tutela e la difesa della libera scelta.
L’equazione per cui sex working equivale solo emancipazione e liberazione dall’oppressione è un’istanza molto comune e diffusa: molti paesi occidentali è ormai consuetudine ed è legalizzato e regolato.
Il sex working però va imprescindibilmente analizzato da un punto di vista che molte volte viene messo in secondo piano, se non del tutto ignorato: quello socio-economico.
Il sex working esisteva ben prima dell’avvento del capitalismo. L’idea comune per cui lavorare con il proprio corpo e sessualità sia estremamente liberatorio dalle sovrastrutture patriarcali però, è un’affermazione pericolosa e dannosa se non affiancata da un’analisi delle sovrastrutture economiche, perché va ad avallare, essendo generica e limitante, l’origine e lo sviluppo oppressivo dello stesso nell’epoca post industriale.
Il problema del sex working non è quindi la sua parte morale, non è l’uso del sesso a suscitare preoccupazione né lo è la perdita della dimensione intima di quest’ultimo, il problema del sex working è il lavoro: è preoccupante come esso viene regolato e sia estremamente soggetto alle influenze neoliberiste dell’iperproduzione e della competizione.
“[..] Il lavoro è qui ancora una volta la cosa principale, il potere sopra gli individui.“
– Marx, L’ideologia tedesca
La maggior parte delle donne e degli appartenenti alla comunità LGBTQIA+ coinvolte in questo mondo essendo infatti considerati dalla società dei consumi come “minoranze” e soggetti a terribili discriminazioni, trovano grandi difficoltà nello impiegare la propria forza lavoro (in un contesto socio-economico che fa di questo il proprio fulcro obbligatorio alla sopravvivenza) e nell’impossibilità di trovare un impiego, si vedono obbligati a dover impiegare ed usare il proprio corpo per colmare la necessità di avere un sostentamento.
” [..] di fronte al denaro tutto diventa merce” U. Galimberti, Le cose dell’amore
Il corpo si svuota e diventa così uno strumento del capitale, in un sistema economico che inevitabilmente riduce tutto alla produzione di plusvalenza eliminandone le caratteristiche umane.
Tutto ciò non può che alimentare le ingenti divisioni e discriminazioni a scapito delle minoranze, che si trovano così, per l’ennesima volta, emarginate e relegate a diventare un mero oggetto del desiderio a servizio di un mercato.
Il mercato del lavoro del sex working funziona, si sviluppa e si muove come qualsiasi altro mercato: se prima dell’avvento del capitalismo intraprendere questa professione era relegato ad una scelta volontaria, nel mondo odierno ne subisce invece le influenze, le tendenze e l’estrema e violenta competizione. Quest’ultima esiste in contrapposizione alla completa mancanza di considerazione del consenso: per chi opera nel mondo del sesso e della sessualità, questo rappresenta un’arma letale e molte volte fatale perchè non permette di porre limiti nel tipo di prestazioni offerte e non da possibilità di esprimere preferenze personali. In un sistema che risponde ai meccanismi di domanda ed offerta ci sarà sempre qualcuno pronto a farlo al posto tuo, eliminando la possibilità di ricevere sostentamento essenziale alla sopravvivenza.
Porre l’accento sulla possibilità di scelta è fondamentale: una persona che sceglie di intraprendere la carriera di sex worker in maniera volontaria può capitare possa scegliere quali prestazioni offrire e può capitare goda di piena libertà nel come quando e se smettere. Si tratta però di un’eccezione, in quanto è una persona che parte da una posizione di privilegio; quello del potere scegliere di porre fine a questa carriera senza nessuna conseguenza, e non rappresentando un esempio per quella parte di persone costrette invece sistematicamente ad intraprendere quella strada per pura necessità, subendo le violenze di un mondo estremamente cruento e dove vige una regola universale: quella del dominio.
“[..] Così, la logica paradossale del dominio maschile e della sottomissione femminile, di cui si può dire, contemporaneamente e senza contraddizione, che è spontanea ed estorta, si capisce solo se si prende atto degli effetti durevoli che l’ordine sociale esercita sulle donne (e gli uomini), cioè delle disposizioni spontaneamente adattate a quell’ordine che essa impone loro.”
– Pierre Bourdieu, Il dominio maschile
Quando il lavoro del sex working è relegato alla considerazione che esso sia solo un “lavoro” come un altro, si escludono e sminuiscono i rischi delle persone coinvolte nella pratica dello stesso: le analisi di questo tipo infatti non prendono in considerazione i quotidiani abusi subiti sul posto di lavoro, gli stupri e le violenze che arrivano ormai ad essere tristemente normalizzate perché purtroppo considerate inevitabili in un mondo che sfugge qualsiasi regola e che molte volte obbliga gli stessi a rimanere anonimi, per tutelare sé stessi e le persone vicine.
Nella visione capitalista dove tutto è ad uso e consumo del capitale, è imperativo che le battaglie femministe vengano indirizzate nell’analisi e nella tutela delle minoranze. Occorre però, slegarsi dalla visione per cui i nostri corpi possano SERVIRE a qualcosa ed occorre iniziare a pensare al nostro corpo come un’entità libera da schemi di utilità, libera da sovrastrutture e soprattutto libera di evolversi e muoversi liberamente senza nessun tipo di imposizione culturale e sociale. In questa visione il sesso è una scelta ma non è una professione: chi sceglie di farlo è perché detta le proprie condizioni e regole nell’ autodeterminarsi e nell’indirizzare i propri desideri. Le nuove battaglie femministe sono perseguite nel ribaltare gli ordini prefissati siano essi biologici, etici, morali ed economici.
“Un futuro nel quale la realizzazione della giustizia di genere e l’emancipazione femminista contribuiranno a una politica universalista assemblata a partire dalle esigenze di ogni essere umano, trascendendo razza, (normo-)abilità, capacità economica e posizione geografica. Basta alla reiterazione senza futuro sulla macina del capitale, alla sottomissione alla fatica ingrata del lavoro, sia produttivo che riproduttivo, basta alla reificazione della realtà mascherata da critica. Il nostro futuro richiede depietrificazione.”
Manifesto Xenofemminista, Laboria Cuboniks